Mia moglie chiede la separazione nel maggio del 1993 per generica incompatibilità, dopo 10 anni di matrimonio (nel 1993 io avevo 41 anni e lei 38, con un bambino di 8 anni che adoravo e che trascorreva molto tempo con me, felicemente), e nonostante la mia opposizione dovuta al fatto di crederla in uno stato di crisi temporanea, a settembre in seconda seduta ottiene tutto quanto richiesto dal suo avvocato (io ancora ingenuo ed inesperto mi sono presentato entrambe le volte senza avvocato): il bambino più 700mila mensili per l'assegno essendo lei insegnante elementare e la casa coniugale, mentre io come tutti i padri, solo il diritto di visitare e tenere il bambino 2 giorni ogni 14, l'obbligo di lasciare la casa ecc.
Non avendo altre risorse, torno a casa dei miei genitori increduli anch'essi per quanto accadeva, ma ignari di quanto ancora dovevo scoprire. Fino alla estate del 1994 trascorro con mio figlio un giorno a settimana e due ore del giovedì, un soggiorno estivo con un saltuaria presenza anche di mia moglie ed un inverno anch'esso normale.
Da gennaio del 1995 in poi cominciano a trovare delle scuse per i miei incontri e dalla primavera del 1995 saltano perché il bambino, fatto strano, trova delle scuse per non uscire con me. Non volendo però rinunciare al periodo estivo (15 giorni) e con la separazione che continuava a essere giudiziaria, mi consiglio amichevolmente con un magistrato della Procura della Repubblica ed il giorno stabilito, con mia cugina, vesto io stesso con decisione mio figlio e lo porto con me.
Stava bene con me nonostante varie telefonate che ebbi modo di registrare tra mia moglie e mio figlio e che feci poi trascrivere a un perito del tribunale, registrazioni che dimostrano senza ombra di dubbio il gravissimo comportamento di mia moglie verso il figlio, plagiandolo in modo vergognoso per una madre, ancora più grave perché insegnante: ma siamo ancora all'inizio.
A fine agosto del 1995 vengo chiamato dalle assistenti sociali del mio comune di residenza, su richiesta del tribunale per i minorenni, le quali mi comunicano che c'era una richiesta di perdita di patria potestà da parte della mia ex consorte, per maltrattamenti e percosse verso mio figlio, ma dopo i primi colloqui e varie informazioni sul territorio, redigono tre successive relazioni che evidenziano il mio carattere mite e l'attaccamento al bambino, e contemporaneamente il carattere estremamente possessivo e di tipo esclusivo della madre, relazioni che esse stesse portano al giudice del tribunale dei minorenni, il quale pure lui interroga prima me, poi la madre e il bambino, e nonostante abbia capito che non c'era nulla di vero, accetta la richiesta dell'avvocato di mia moglie di aspettare un poco prima di ricominciare con gli incontri.
Ciò nonostante il palese plagio rivelato nelle registrazioni telefoniche e i miei avvertimenti sulle reali intenzioni della stessa che ancora continuava nella separazione giudiziale ad attaccarmi in tutti i modi col suo fido avvocato (per danaro avrebbe venduto anche sua madre).
Riuscivo a vedere mio figlio solo al tribunale dei minorenni o in tre successivi incontri in presenza di una dottoressa che mia moglie aveva pagato e portato dal giudice: mia moglie fingeva di acconsentire ad un riavvicinamento del figlio verso il padre, ma in realtà lavorava esattamente al contrario, come da me da sempre denunciato al giudice, inutilmente e contro ogni evidenza (voleva del tutto eliminarmi dalla vita del figlio per avere con lui un rapporto di tipo esclusivo e per coprire il suo anomalo rapporto con un uomo sposato: ma che madre è mai questa?).
Nel luglio del 1996 riesco finalmente a far accettare a mia moglie la chiusura delle ostilità con la separazione consensuale, ma nel settembre dello stesso anno scopro tutto il suo gioco. Cercando di capire chi lavorasse contro di me con tanto accanimento, mi travesto e seguendola, scopro chi operava nell'ombra, chi strapagava l'avvocato accattone, chi si era messo tra me e mio figlio per accattivarsi i favori deplorevoli della madre: il padre del compagno di banco di mio figlio, normalmente sposato ancora oggi ed assiduo frequentatore della mia vecchia casa, mio malgrado (ancora oggi sua moglie fa finta di non sapere ed è forse a sua volta ricattata).
Sorpresi insieme tutti e tre e fotografatoli, vengo inseguito e aggredito in auto da questo megalomane che si muove sempre in 164 spark, implicato in talune poco chiare attività in campo informatico e di ricerche di mercato anche se lavora alle dipendenze di una società di informatica, coinvolgendo altre persone (spesso conoscenti o ingenui e bisognosi giovani lavoratori) in piccole società che poi porta a fallimento e che poi ricatta con esose richieste economiche per presunte prestazioni professionali.
Nonostante queste grosse novità il giudice non prende alcun provvedimento (la madre di un ricattato rilascia spontaneamente una dichiarazione scritta al giudice del tribunale dei minori sulla pericolosità di quest'uomo, per altro in possesso di un'arma non dichiarata e che frequenta la casa di mio figlio, ma il giudice minimizza come sempre), nemmeno quando mia moglie sistematicamente e con continuità mi impedisce addirittura qualunque tipo di tentativo di avvicinare mio figlio, mio diritto e mio dovere, come da sentenza di separazione.
Già nel 1995, quando ancora non sapevo cosa avesse realmente in mente, mi ero affidato a Cam-telefono azzurro di Napoli, poi a vari monaci francescani di Pozzuoli, sempre muovendomi con gli avvocati per la separazione, non sapendo ancora cosa avesse invece in mente: io lavoravo per aiutarla e lei invece pensava a ben altro. Poi ho chiesto l'interessamento del Presidente del tribunale dei minorenni nel 1997 e nel 1998, in quanto il giudice non si decideva a prendere un qualche provvedimento, ma sono rimaste solo parole al vento; poi nel 1998 mi rivolgo alla pretura di …………....., al pretore stesso, che faceva le veci del giudice tutelare in quanto, fatto molto grave, figura non esistente in quella pretura: questi mi ha appena ascoltato come se fosse allergico ai problemi delle separazioni.
Poi mi sono rivolto alla Procura della Repubblica / sezione famiglia dove espongo il caso e denuncio mia moglie: soprattutto chiedo come fare per obbligare mia moglie al rispetto della sentenza, visto che io ho sempre correttamente rispettato ogni obbligo economico: capisco che posso solo sperare in una leggerissima condanna pecuniaria di mia moglie e chissà pure se e quando. Ne esco più che deluso: allo stesso dirigente ho poi dovuto dimostrare con fotocopie di statini di pagamento (tramite interrogatorio presso una stazione dei Carabinieri con pagamento dell'avvocato d'ufficio) che facevo comunque il mio dovere di padre, contrariamente a quanto denunciato con false dichiarazioni da mia moglie in passato. Più volte tento di coinvolgere gli insegnanti di mio figlio per un aiuto, ma la madre subito telefona alla preside e la invita ad attenersi ai suoi soli compiti d’ufficio, poi tento di organizzare col dirigente della pretura (non il pretore che ha ben altro da fare) l'esecuzione forzata (nel luglio del 1997), ma non era di rapida attuazione, in quanto bisognava prevedere un avvocato, un'assistente sociale, e vari tentativi (mia moglie avrebbe certamente presentato vari certificati medici ed evitato l'esecuzione), per cui rinuncio in partenza.
Nel frattempo scrivo al giudice del tribunale dei minorenni, lo stesso che incontro e saluto spesso per strada al XXXXXXX e che ormai mi conosce bene, poi allo stesso neuropsichiatra infantile del tribunale per chiedere aiuto per mio figlio, ma l'unica cosa che mi dice il giudice in un momento di confidenza è: "sua moglie non vuole farglielo vedere", poi " non posso fare nulla per obbligare sua moglie al rispetto della sentenza", ed infine " può solo denunciare il fatto al tribunale normale": ma io non posso credere che un giudice, alla luce di quanto comunque ha raccolto in quasi 4 anni nel fascicolo relativamente al caso di mio figlio e che ha la potenziale facoltà di togliermi la patria potestà per presunte quanto false percosse (così dichiarò mia moglie all’atto della denuncia) non possa fare assolutamente nulla contro chi invece opera una violenza psicologica continuata su un minore oltre che un sequestro di minore (mio figlio vive da sequestrato), con l'aggravante che la stessa è anche madre e insegnante elementare statale; ancora oggi non ci credo.
Non sapendo più cosa fare, a chi chiedere aiuto (naturalmente evito di dire i soldi che i vari avvocati chiedono e ottengono per le loro spesso inutili e spesso criticabili prestazioni), dopo aver anche ricevuto una denuncia dei carabinieri per procurato allarme e varie altre disavventure, mi rivolgo al Sindaco del comune in cui insegna mi moglie ed in cui va a scuola mio figlio: trovo in una sola persona il Sindaco, un padre, un medico, un amico. Uomo concreto, telefona davanti a me alla preside del ragazzo (oggi ha 13 anni e frequenta la terza media, ma la madre ha “lavorato” sulla sua mente già a otto anni con determinazione e professionalità) e subito dopo alla Direttrice di mia moglie: chiede un incontro amichevole a scuola tra lui, mia moglie e la Direttrice per tentare di farla ragionare per il solo bene del ragazzo.
Il tentativo è stato inutile: sia il Sindaco che la Direttrice non sono riusciti ad ottenere la collaborazione sperata. E siamo giunti a febbraio del 1999, mese in cui ho conosciuto il gruppo dei papà separati, gruppo che mi ha accolto con affetto ed a cui spero possa servire la mia amara esperienza che vede perdente non solo me, padre separato, ma tutti i figli di separati, e soprattutto le strutture pubbliche che hanno le loro gravi responsabilità (a proposito del tribunale dei minorenni, solo ora, nel marzo del 1999 il mio avvocato mi comunica che il fascicolo relativo alla richiesta di perdita di patria potestà è chiuso perché il fatto non sussiste: da luglio del 95 a marzo del 99 per decidere qualcosa che le assistenti sociali avevano visto in soli 5 giorni.
Quando è stato aperto il fascicolo mio figlio era in vacanza con me mentre oggi non lo vedo da ben due anni e mezzo: ho sempre obbedito alle direttive datemi del giudice e questo è il risultato.)
Tra i motivi del fallimento l'inadeguatezza degli interventi, la superficialità e spesso la sottovalutazione dei casi da parte dei giudici, l'assenza di esperti assistenti sociali ( nel mio caso però erano brave più del giudice perché avevano capito subito come stavano le cose, e non capivano invece il comportamento sempre estremamente cauto e passivo dello stesso), la sete di denaro di alcuni avvocati, l'assenza di figure chiave come quella del giudice tutelare, coperta (serve solo per carte d'identità valide per l'espatrio e per i passaporti, cosa che sembra essere più importante della vita di un bambino) dal pretore, e tanto altro.
Poi ci si meraviglia quando alcuni padri separati, stanchi di essere presi in giro e di ritrovarsi ogni volta inutilmente al punto di partenza, persa del tutto ogni fiducia nelle istituzioni, prendono iniziative personali non sempre appropriate, ma solo allora la legge interviene pronta a fare giustizia.
Ma chi ripagherà mio figlio e me per gli anni in cui comunque la legge (sulle separazioni e divorzi) ci ha tenuti lontani?
Chi mi ridarà la serenità e la gioia, la fiducia nella vita che mi vede oggi privato del mio unico figlio?
Chi pagherà per l'ipertensione e per l'ipertiroidismo che inevitabilmente mi ritrovo a 46 anni dopo lo stress, i dispiaceri, le arrabbiature e le paure che mi hanno visto passare da un ufficio all'altro, da un tentativo all'altro, INUTILMENTE?
Cosa penserà un giorno mio figlio di me, della famiglia, della giustizia, della vita?
E chi ripagherà i nonni, gli zii, i cugini, e soprattutto mio figlio per averlo privato di tutti gli affetti della famiglia paterna?
Non è solo mia moglie colpevole, ma anche chi le ha permesso di poter fare tutto quello che ha voluto, dandole con le lungaggini burocratiche, una colpevole superficialità e la poca determinazione la garanzia che non le sarebbe successo nulla, e quindi i giudici, quegli stessi che ho sentito lamentarsi delle troppe tasse sui loro 130 milioni all'anno che prendono per recitare la loro parte, spesso con presunzione e impreparazione per un ruolo che li vede decidere della vita di altri esseri umani, ed io mi sono trovato male perché sin da piccolo ho avuto timore e rispetto per la legge: quei padri che invece spariscono per sempre, fregandosene di tutto e di tutti, non è che forse scelgono la via migliore?
Ho necessariamente trascurato mille fatti importanti (ci vorrebbe un libro intero) che darebbero meglio l'idea di quanto sia difficile il percorso di una separazione quando una donna, madre e insegnante iperprotettiva nei riguardi del figlio, con un rapporto sentimentale o solo fisico da nascondere nell'ombra, guidata da diverse persone senza scrupoli che per interessi diversi approfittano della situazione a discapito di un povero bambino innocente, rinchiusa solo nel suo totale egoismo, perde il senso della realtà e non s'accorge di fare anche lei solo del male al figlio che vorrebbe poi dividere dall'unica altra persona che come lei lo ama più di ogni cosa al mondo: quello stesso mondo che poi, indifferente, resta a guardare.
XXXXXXX, marzo 1999.